CON LA VELA NEGLI OCCHI
Antonino Italiano ricorda GIOVANNI CUOMO
Maestà e Lor Signori, Politici e Cavalieri, Santi ed Eroi, Voi che siete avvezzi alle ricorrenze storiche, non me ne vogliate se oso ricordare l’amico Giovanni Cuomo, nel trigesimo della scomparsa, senza scomodare la Storia. Il mio rapporto con Giovanni si era consolidato negli ultimi sei anni. Da quando, dopo una vita spesa sul mare, si era ritirato nell’isola natia. Capimmo subito quanto di prezioso la giovane Lega Navale dell’isola d’Ischia poteva avere dall’esperienza di un uomo veramente navigato. Miglia e miglia dentro e fuori del Mediterraneo, porti lontani, amicizie strette nel breve volgere di una notte in rada o nel rinforzo dei venti di buriana. Usi e costumi che lo avevano incuriosito. Una minuscola agendina con nomi e numeri telefonici per comunicare con tante realtà marinare da far impallidire il moderno Web.
Inizia così sulla banchina del porto d’Ischia l’ultima gioventù di Giovanni Cuomo che insegna a tutti noi i segreti del mare. Mentre raccontava con distacco delle avventure vissute sottocosta o in alto mare, si scatenava la passione antica per il Porto d’Ischia devastato dal traffico commerciale, in antitesi con la sua visione di porto accogliente e dotato di tutte le strutture qualificanti che lui aveva potuto apprezzare in altri posti e vedeva negati in casa. Ci voleva un Circolo Nautico e, insieme ad altri appassionati, fondò lo Yacht Club. Ma non gli bastava e collaborò con la Lega Navale ad organizzare la sede nautica e la scuola vela presso il palazzo Malcovati. Con la nuova sede sociale della Lega Navale a Palazzo D’Ambra si realizzava il suo sogno atavico: finalmente gli isolani non sono solo bravi marinai su barche forestiere ma si impossessano della nautica da diporto e i giovani possono contare su strutture essenziali per avvicinarsi, godere e rispettare il mare.
Uomo semplice e buono nascondeva una severità di giudizio che gli valse la carica di presidente del Collegio dei Probiviri della LNI Isola d’Ischia. Disponibile a mettere la sua arte marinara a disposizione di tutti, carpiva la curiosità dei più piccoli con cordicelle annodate in infiniti modi. Maneggiava strani strumenti, talvolta ideati in proprio, per realizzare complicate legature, impiombature, intugliature, lardature. In queste operazioni sembrava un parsonaggio uscito dai racconti di Herman Melville. Eseguiva controlli alle alberature delle vele indossando il bansigo per salire in testa d’albero, districandosi tra sartie e drizze, bozzelli e stralli. Dare la vernice significava levigare, lavare, lucidare e infine accarezzare il legno della barca come si può fare in un rito amoroso e premuroso. Gentile anche con chi non lo meritava porgeva alle barche ospiti i cavi di ormeggio solo dopo averli strizzati per bene. Richiamava quanti, dopo l’ammainata, arrotolavano la bandiera al pennoncino: la bandiera non si arrotola, si accazzotta!
Giovanni amava le regate veliche. Ne aveva disputate di importanti: Fastnet e Middle Sea Race solo per citarne alcune. Era felice anche quando veleggiava nelle acque del golfo di Napoli o per andare alle Pontine. Fino all’ultimo, quando ormai la malattia non gli consentiva di stare a timone, si industriava a fare il giudice di gara alando e ammainando bandierine nel canale d’Ischia. E così che dal Count Down delle regate è passato al conto alla rovescia finale. Quel fatale pomeriggio del 14 maggio stava seguendo Luna Rossa alla televisione nelle regate preparative della Coppa America. Se n’è andato con la vela negli occhi.